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Un filo visibile nell'ascolto delle parole lega le poesie di Su immota terra alle precedenti, e tra loro diverse, opere di Fausto Maria Pico. Se, come indicato da Ernestina Pellegrini, Il respiro ritratto trovava "nella sua natura potentemente concettuale e filosofica" le strade di un dialogo sempre fortemente evocativo del proprio essere dentro il mondo, e Biglie di mercurio proponeva l'eco di due monologhi paralleli che non divenivano però mai colloquio, in queste pagine l'impronta del "dire" si deposita sulla memoria e sul resoconto di un tempo che è insieme presente e trascorso; ma non fuggito, né perduto. Un tempo legato alle radici forti e terragne di una nostalgia dell'esistenza, di una "parola che non definisce" perché continua a vivere "nel silenzio dei nomi delle cose".